Ritrovamento

IL RITROVAMENTO DEL FRANCESCO CRISPI E DEL SARACEN


Primo approccio - Maggio 2013

Nel mio peregrinare per il mar Tirreno avevo scoperto alcuni relitti antichi romani in acque della Corsica.
Sapendo che essi devono essere dichiarati alle autorità, avevo preso contatto con il DRASSM, l’equivalente francese della nostra Soprintendenza ai Beni Culturali.
Erano rimasti sorpresi e compiaciuti dei ritrovamenti. Si trattava di interessanti cumuli di anfore e altri oggetti a grande profondità.
La responsabile delle acque intorno alla Corsica è Franca C una archeologa marina italiana di scuola fiorentina che ha trovato un impiego in Francia più proficuo di quanto poteva attendersi dall’Italia.
Ebbi occasione di incontrarla e le mostrai le mie attrezzature particolari. Ma le reazioni istituzionali sono quasi sempre di tipo passivo, cioè ascoltano e prendono ciò che viene loro offerto con moderato entusiasmo e in genere senza dare alcunché in cambio.
A oggi sono ben 24 i relitti di epoca romana che ho localizzato ed ispezionato in acque profonde. Sono quasi l’unico ad esplorare fondali pressoché inaccessibili.
Ho dunque ritrovato migliaia di anfore. La legge Italiana e pure quella Francese prevedono un premio per chi ritrova antichità, un premio del 25%, un quarto del valore oppure un quarto in natura del ritrovamento stesso. Chissà perché mi sono sentito rispondere che la legge è così ma che non viene applicata…

Andiamo oltre.
In modo del tutto inatteso, nel Maggio 2013 il DRASSM mi chiamò per una collaborazione.
Venni a sapere che dei francesi avevano in mente di fare un documentario sulla liberazione della Corsica dall’occupazione italo-tedesca e che nel 1943 un sommergibile inglese, il HMS SARACEN, aveva avuto una parte nel trasportare clandestinamente delle spie sulle coste dell’isola.
Il sommergibile era stato poi affondato in quelle stesse acque.
Il DRASSM aveva accolto con favore l’istanza di ritrovarlo e ne diedero annuncio alle autorità inglesi.La notizia che i francesi si sarebbero mossi con la loro nuovissima nave per ricerche archeologiche fece il giro della stampa inglese, suscitando oltremanica un vivissimo interesse, come di solito accade da loro per vicende eroiche che coinvolsero navi ed equipaggi inglesi.
La prima missione dell’André Malraux fu un insuccesso. Agli inglesi dissero che il maltempo aveva impedito l’operazione, in realtà si erano resi conto che la strumentazione a loro disposizione era inadatta ad eseguire ricerche profonde.
Qualche mese prima io avevo trovato il relitto della CORAZZATA ROMA a 1200m di profondità in condizioni difficilissime e forse anche grazie a questo il DRASSM pensò a me.
Ad inizio Maggio 2013 dunque con mare buono fummo pronti, il DAEDALUS, io ed un aiutante, ad imbarcare Franca ed altro personale del DRASSM e ad iniziare a registrare il fondale con il mio speciale sonar.
C’era un punto di affondamento citato da documenti d’archivio e iniziammo a farci “passate” sopra e nei dintorni.
Nessun contatto si manifestò sul punto, allora le ricerche si allargarono progressivamente, ed ecco che un’ombra scura apparve sullo schermo, le dimensione dell’oggetto risultarono congrue, dunque decidemmo di determinarne la posizione esatta con passaggi sonar ortogonali.
Era “solo” a 170m di profondità.
A bordo un po’ di eccitazione serpeggiò fra i nostri ospiti: Franca, il tecnico Denis del DRASSM, un fotografo, un cameramen, tutti curiosi di osservare i miei mezzi e le mie manovre, che avevano ormai fama di essere non convenzionali, oltre che molto efficaci. Io con piacere mostravo e spiegavo tutte le modalità, nella speranza di suscitare interesse in vista di ulteriori sviluppi.
Da notare che l’André Malraux ha un equipaggio di sette persone, mentre sul DAEDALUS grazie all’automazione ed alla semplicità degli strumenti io mi appoggio ad un solo marinaio oppure alla mia consorte ma eventualmente riesco anche a lavorare anche da solo.
Allora disposi il DAEDALUS sulla verticale del punto rilevato, misi in funzione l’elica ausiliaria controllata dal computer per tenere la barca ferma sul punto in modo automatico, contrastando l’azione di vento e corrente e non spostarsi che minimamente (si chiama “posizionamento dinamico”), lasciando me libero di occuparmi delle rimanenti operazioni.
Per sapere se quell’ombra del sonar era il sommergibile che cercavamo c’era un solo mezzo: andare a vedere.
Ecco quindi che intervenne il piccolo robot PLUTO PALLA, anche lui come il sonar e tutto il resto, compreso il catamarano, ideati e costruiti in modo autonomo ed originale.
PLUTO PALLA è un piccolo veicolo di forma circa sferica, molto maneggevole con i suoi 60kg di peso e la capacità di scendere negli abissi ad oltre duemila metri, porta nelle profondità un perfezionatissimo occhio elettronico per vedere oggetti illuminati dal suo potente faro.
Un sottile cavo arriva fino in superficie e lo collega ad un pannello di comando nella postazione del catamarano DAEDALUS, da dove si possono azionare le quattro eliche per navigare nelle profondità e dove si ricevono dettagliate immagini della telecamera. Il tecnico DRASSM sgranò gli occhi quando mi vide legare un grosso sasso e collegarlo ad un meccanismo sotto il PLUTO PALLA. Era una procedura veramente insolita, una pietra non rientrava fra gli oggetti professionali che egli era abituato a maneggiare. Gli spiegai che si trattava di una zavorra a perdere che serviva a trascinare il veicolo verticalmente sotto la barca sul punto voluto con sufficiente precisione e che una volta vicino all’obiettivo il sasso sarebbe stato sganciato e abbandonato sul fondo senza inquinare.
Mi guardò con l’aria di chi ha ascoltato un marziano.
Tempo dopo mi resi conto che nulla di quanto aveva visto era stato assimilato.
Nel settore dei robot subacquei (li chiamano ROV) vige uno schema costruttivo consolidato e rigido. Difficile far capire che può esistere anche altro con prestazioni diverse.

PLUTO PALLA arrivò dunque sul fondo, una scansione intorno a sé con il suo piccolo sonar rilevò ad una ventina di metri un grosso oggetto. Da notare che in profondità oltre i cento metri il buio diventa totale e il pur potente faro riesce ad illuminare solo a pochi metri. Il veicolo navigò verso l’oggetto dirigendosi con il sonar e dall’oscurità si delineò una sagoma che prese la forma della prua di una nave. Era quindi una nave e non il sommergibile. Una rapida ricognizione precisò che si trattava di una piccola nave armata con cannoncino e lanciasiluri. Non perdemmo tempo per saperne di più, ricuperammo il veicolo e proseguimmo le battute.
Con il sonar da ricerca del DAEDALUS in cinque giorni esplorammo centinaia di chilometri quadrati di fondale, trovammo altre due navi e svariati altri oggetti, ma non il Saracen.
Occorre osservare che i relitti sul fondo sono ostacoli sui quali si impigliano e si strappano le reti da pesca a strascico che poi rimangono a penzolare sul relitto. Poi ci sono i palamiti. Si tratta di lenze in filo di nylon lunghissime con centinaia di ami calate vicino al fondo per catturare tonni e pesci spada. Anche questi fili si impigliano nei relitti, si strappano e rimangono numerosi e tesi per ogni dove.
Per un veicolo come il PLUTO PALLA che si avvicina a filmare e a scattare fotografie, i fili e le reti costituiscono un grave pericolo se si agganciano a qualche sua parte o addirittura si avvolgono alle eliche. Il PLUTO PALLA rischia di rimanere a fondo e di perdersi.
Sulla seconda delle navi riconosciute c’era uno squarcio dello scafo che sembrava provocato da un’esplosione, il nostro veicolo si avvicinò troppo per filmare meglio e nel ritrarsi mi accorsi che era rimasto agganciato ad una lenza.
Mi percorse un brivido. La telecamera non è predisposta per osservare il corpo del veicolo, non si riesce a vedere il punto dov’è agganciato, un po’ come il sommozzatore che non arriva a controllare i rubinetti delle bombole che porta sulla schiena.
Cercando di non perdere la calma provai a fare dei movimenti misurati ora da un lato, ora dall’altro, su e giù, ma niente, il PLUTO era sempre trattenuto.
Provai a retrocedere e vidi un filo di palamito davanti alla telecamera tendersi. Era una tenue indicazione.
Provai ancora a retrocedere tenendo teso il filo e a girarmi a destra e sinistra. Senza risultato. Cominciavo veramente ad innervosirmi. Il veicolo aveva ancora il sasso di zavorra pensai di mollarlo e provare a venire su di forza tirando il cavo di comunicazione a fibra ottica.
Detto fatto, azionai lo sgancio zavorra e indietro tutta: vidi subito l’immagine del relitto che si allontanava, il PLUTO era libero. Che respiro di sollievo! Evidentemente era il sasso ad essersi impigliato nel palamito.

Queste sono le esperienze pratiche di impiego che insegnano quanto può essere sfuggito dai calcoli a tavolino ed è così che gli strumenti migliorano e diventano poi capaci di affrontare qualunque situazione.

L’ultimo giorno arrivò a bordo Michel L’H, il direttore del DRASSM.
Altre passate, altro contatto, invio di PLUTO PALLA a vedere e scoperta di una navetta cisterna, una bettolina, con il nome ancora ben visibile: “Vetor Quattro”.
Tutti si resero conto che i miei strumenti esploravano facilmente il fondale ed erano in grado di rivelare e identificare oggetti anche ben più piccoli di un sommergibile.
Se non avevamo trovato nulla voleva dire che il punto presunto era poco attendibile e che si sarebbe dovuto cercare altrove.

Il SARACEN cominciava ad essere un mistero.
Questa missione terminò così. Grazie e arrivederci.
Tutto quello che ci fu offerto furono due cene sull’André Malraux che ci aspettava in costa, e null’altro, neppure il pensiero di rabboccare i nostri serbatoi del gasolio che avevamo consumato per il DRASSM.
Invece si, prima di iniziare avevano ben pensato di farmi firmare un documento di riservatezza …
Al momento non mi preoccupai di questi dettagli, ero proteso a mostrare la bontà dei miei strumenti. Come poteva l’André Malraux fare a meno di un sonar come il mio? Mi chiedevo.
E il PLUTO PALLA, forse anche lui sarebbe stato bene a bordo della loro navetta costosa e modernissima. E le carte sonar dei loro fondali? Me le avrebbero certamente richieste, mi dicevo.


Secondo atto - Settembre 2013

Dopo il SARACEN, io, la mia consorte Gabriella ed il DAEDALUS navigammo al Golfo dell’Asinara per scoprire il troncone di prua del relitto CORAZZATA ROMA e per deporre una lapide ricordo per conto della Marina Italiana.
A fine stagione, sulla via del ritorno a La Spezia, chiesi a Franca C se il DRASSM avrebbe avuto qualcosa in contrario se proseguivo la ricerca del SARACEN: mi diedero il via libera.
Gabriella era tornata a Trieste dagli anziani genitori e io imbarcai mio fratello Claudio come aiuto e andai per qualche giorno a fare la noiose “passate” sonar.
Prima un bel monticello di anfore romane a quasi 500m di profondità, poi un altro mucchio di rottami con oggetti cilindrici di ferro che potevano far pensare a delle bombe, in seguito un ennesimo mucchio di grosse pietre ma che ad un esame più attento risultarono essere un carico di ossidiana di una nave romana del primo secolo d.c. Infine un bel relitto romano del secondo secolo a.c. a 440m con un carico di anfore puniche, rodie e alcune brocche di elegante fattura.
Passate proficue ma del SARACEN nessuna traccia.
Quasi al termine della nostra settimana di ricerche improvvisamente sul tracciato del sonar si delineò una eco di forma strana, dimensioni compatibili con il nostro obiettivo ma l’intensità troppo debole per un relitto in acciaio. La posizione però era non lontana dal punto presunto.
Lanciammo il PLUTO PALLA su un fondo di 400m.

Anche il sonarino del veicolo mostrò una sagoma di nave con due estremità affusolate e qualcosa di più consistente al centro, proprio come poteva presentarsi un sommergibile.
L’aspettativa cresceva. Dalle tenebre sbucò una forma di nave ma tutto uno sfasciume appiattito sul fondo, mah… Più avanti verso il centro nave apparve una struttura verticale con l’apparenza di una torretta, aveva pure un condotto al centro come fosse un passaggio per accedere all’interno del sottomarino. Mi dissi che forse l’avevamo trovato e immaginai che lo sfasciume poteva essere il risultato dell’implosione dello scafo che non poteva resistere alla profondità di 400m.
Prendemmo fotografie e il video della ricognizione. Vidi sul fondo un oggetto infangato con delle finestrelle tonde in vetro, che interpretai come resti del periscopio.
Il tutto poteva somigliare ma non c’erano elementi inequivocabili.
Tornati a casa, contattai Franca C del DRASSM e le inviai una selezione di fotografie.
Anche loro erano scettici. Mi dissero che avrebbero inviato le foto in Inghilterra per l’identificazione da parte della Royal Navy.
Qualche mese dopo mi dissero che il relitto non era stato identificato come quello del SARACEN.


Terzo atto - il 2014

Entra in scena l’OCTOPUS una nave di 126metri, lo yacht, si fa per dire, di Paul Allen, il ricchissimo socio di Bill Gates, attrezzata con i più moderni ritrovati per l’esplorazione sottomarina. Paul Allen si diletta di ritrovamenti di relitti, un po’ come me, ma qualche sproporzione fra i mezzi: 30 tonnellate di barca contro 5 mila, equipaggio di due contro 60, eccetera.
A suo tempo si mise in lizza per la scoperta della Corazzata ROMA ma fu da me preceduto nel 2012.
Nel 2014 la sua nave sarebbe stata in Mediterraneo e per il tramite di Maria Pia Pezzali mi fu chiesto se potevo collaborare ad una ricognizione sul relitto del Roma con i loro mezzi.
Era un’occasione appetitosa vedere una nave così speciale e poter seguire l’opera di strumenti eccezionali. Mi dichiarai subito disponibile e iniziai col chiedere i necessari permessi per loro ma a mio nome, grazie all’accesso privilegiato che avevo con la Marina Italiana e la Soprintendenza della Sardegna. Ed infatti a fine Maggio ci trovammo con l’OCTOPUS a Stintino e trasbordammo da loro per trattenerci i sei giorni di operazioni sul relitto ROMA.
L’OCTOPUS merita una piccola digressione.
Il proprietario non era a bordo, seguiva le operazioni via streaming internet e Robert Kraft il capo delle operazioni, era molto attento a preservare riservatezza e intrusioni nel privato dell’armatore.
La nave ha sette ponti. I primi due sono dell’equipaggio, tra 50 e 60 persone. A me e Gabriella è toccata una cabina ospiti al terzo ponte, gli ospiti più scalcinati. Cabina in legni pregiati, servizi in marmo bianco di Carrara, centrale elettronica comandata da tablet per avere tutto, compreso il video delle operazioni, le immagini subacquee prese in diretta dal ROV, meno la visione dei ponti superiori riservatissimi, dove ci è venuto il sospetto di non reciprocità.
Hangar e piattaforme per due elicotteri, un sottomarino da otto persone per immersioni fino a 300m, rimessato in un enorme spazio chiamato il “marina” insieme ad un motoscafo da venti metri.
Costruttivamente sono rimasto impressionato dalle vaste superfici dell’opera morta tirate a specchio in blu e bianco senza l’ombra di ondulazioni, ho calcolato circa diecimila metri quadri.
Tecnicamente, otto motori da 2000 cavalli e propulsione elettrica, velocità moderata di 15-17 nodi.
Due pinne stabilizzatrici di rollio capaci anche di oscillare come ali per tenere stabile la nave anche da ferma.

Terminate con successo e soddisfazione le operazioni sul ROMA, il direttore operazioni Robert Kraft mi chiese se avevo qualche idea per occupare alcuni giorni di disponibilità della nave.
Io suggerii la ricerca del SARACEN che era in zona non distante.
Approvata che fu l’idea da parte dell’Armatore, iniziai il contatto con Franca del DRASSM per i permessi. Ma dopo alcuni messaggi che davano disponibilità favorevole rimasi invano in attesa di un seguito. Dopo due giorni venni a sapere da Robert che i contatti erano proseguiti direttamente fra lui e Michel L’H, che costui aveva tentato di coinvolgere Paul Allen in una attività su un altro relitto francese, che l’Armatore aveva risposto picche e che la nave sarebbe partita per andare a cercare il SARACEN. Io quindi mi sentii scavalcato, Robert mi offri di tornare a bordo, ma nè Franca né Michel richiesero la mia presenza, per cui mi ritirai.
Così l’OCTOPUS andò a vagare senza l’aiuto delle mie carte dei fondali perdendo tempo ad esplorare zone che già erano state da me battute negativamente, e non ottenendo nessun risultato nei quattro giorni dedicati alla ricerca.

Per me l’unico risultato fu di aprirmi gli occhi sulla natura e sul comportamento di Michel L’H e di Franca C.
Inutile perdere tempo a collaborare con personaggi che dimostrano una tale noncuranza. Mi ritenni completamente libero dall’impegno di riservatezza firmato e andai a cercare un contatto diretto con gli inglesi.
All’epoca dell’annuncio della ricerca del SARACEN da parte della Francia, i giornali inglesi avevano pubblicato la notizia e in alcuni di loro compariva il nome di Terry Hodkingson, uno scrittore giornalista molto legato alla storia del SARACEN per aver conosciuto il Comandante Lumby e per essere in contatto con membri dell’equipaggio ancora viventi.
Provai a cercare il suo indirizzo sulla rete.
I Terry Hodkingson erano una decina. Ne scelsi uno che mi sembrava il più probabile e gli inviai un mail.
Quale la mia sorpresa quando ricevetti la sua risposta. Diceva che l’interesse a ritrovare il SARACEN era molto vivo, mi informava che due ricerche erano state svolte senza successo, la prima del DRASSM e l’altra nel settembre 2013 da: (udite, udite) a “French research boat” in cerca di cocci romani, che aveva ritrovato un relitto di cui mi allega le fotografie (le mie) che sono state inviate al Museo di Gosport per il riconoscimento (dal DRASSM).
Eh già… con che faccia dover mostrare le foto di un ritrovamento non Francese?
Franca tuttavia aveva avuto la cortesia di inviarmi copia di un suo studio archeologico sul falso Saracen che risulta essere un vapore di fine ottocento, il BONAPARTE, una piccola nave traghetto che da Bastia portava a Marsiglia e forse a Genova. Determinante era stato il loro ricupero del presunto periscopio, che poi era una lanterna, su cui era inciso il nome del fabbricante di Marsiglia.
E il quadro DRASSM per me si completa con la notizia che la lanterna è stata recuperata dall’André Malraux con il rov Perseo: il Perseo chi? A bordo non c’era quando fummo invitati. Dunque acquistato neppure perché avevo avuto notizia di una gara per provvedere la nave di un rov moderno. Allora noleggiato o in prestito.
Da persone razionali e corrette potevo attendermi di essere interpellato? Io dico di si, invece tempo perso…
E la gara? Leggere le specifiche e capire il livello tecnico di Denis, colui che guardava i marziani, e colleghi è stato semplice. Ad un mio desiderio di collaborare è stata meno comprensibile la risposta di Michel L’H ripetutamente fuori luogo.
Quadro DRASSM ormai completo.


Ultimo atto - Maggio-Luglio 2015

Leggendo la storia del SARACEN appresi dei numerosi successi della sua breve carriera, fra cui il disastroso (per noi Italiani) affondamento del piroscafo trasporto truppe Francesco CRISPI, avvenuto fra Bastia e l’Elba solo quattro mesi prima che il sommergibile terminasse le sue scorrerie finalmente colpito e costretto all’affondamento da due nostre corvette.
Dunque anche il CRISPI è un relitto da ricercare.

Qui è opportuno chiarire ancora una volta la mia posizione di “cercatore di relitti”.
L’origine delle mie attività è la sperimentazione tecnica di nuovi ritrovati per l’esplorazione dei fondali. Se passo a caso con il sonar su un fondale e trovo un contatto che poi risulta essere un mucchio di anfore, ho effettuato un ritrovamento fortuito.
Se invece batto sistematicamente una zona alla ricerca del SARACEN, questa è una ricerca mirata che necessita dell’autorizzazione delle Autorità.
Il confine fra i due casi legalmente parlando è netto, in pratica molto più sfumato.
Un relitto che si sa che c’è ma che non si trova diventa un incentivo tecnico a inventare nuovi strumenti per trovarlo. Così era accaduto per il ROMA. Ma per il SARACEN è ancora diverso.

Premesso che Michel L’H mi ha espressamente autorizzato a proseguire le ricerche, i fondali del SARACEN sono facili per il mio sonar e il motivo dell’insuccesso diventa misterioso e va cercato altrove.
La prima idea è: allargare il campo.
Ho già battuto tutta l’area marina fra la Corsica e l’Isola di Capraia dal Capo Corso giù fino a quasi a Bastia. Mi manca una zona fra Bastia e l’Elba dove potrebbe trovarsi anche il CRISPI.
Allargando l’area avevo trovato altre cinque navi affondate e sei relitti romani: difficile contraddire chi mi qualifica di “cercatore di relitti” o pensare che i miei apparecchi non sono efficienti.
Questa del 2015 è l’estate in corso. Devo, dico devo, arrivare ad una conclusione, non è accettabile che il SARACEN mi sfugga sta diventando una questione di orgoglio. Come avevo già fatto per il ROMA, anche qui ho rivisto tutte le registrazioni sonar e ho eseguito un lavoro certosino di catalogazione dei contatti, nel dubbio me ne fosse sfuggito qualcuno. Nulla di nuovo, salvo una mezza dozzina di contatti minori tipo anfore romane da identificare non appena ne avrò desiderio.
Altro punto da chiarire sono i relitti già trovati e sommariamente ispezionati ed esclusi: sono andato a rivedere anche le loro registrazioni video per essere sicuro di non aver preso un abbaglio.
Ed è così che ad una seconda visione del falso saracen noto fra i rottami pezzi di legno la cui presenza fa escludere si tratti del sommergibile.

E arriviamo al presente.
In barca stiamo sperimentando aspiranti marinai.
Abbiamo dimesso Davide, bravo, servizievole, di buon carattere sempre disponibile, aveva dato una mano ai lavori di rinnovamento del DAEDALUS durante l’inverno, ponti rifatti, albero rivisto e verniciato, boma nuovo in carbonio, ma con limitata esperienza da comandante.
Ora siamo in prova con Guille un ingegnere italo-argentino di buon livello tecnico.
Con lui a bordo ad aiutare me e Gabriella facciamo ancora passate sonar.
Improvvisamente, come sempre capita, si delinea un segnale di presenza molto netto, la profondità è 500 metri, l’oggetto appare lungo più di 160m e presenta anche la sua ombra, quindi è alto sul fondo, si trova 2 miglia a sud del punto presunto del CRISPI, probabilmente è lui, anche se si racconta si sia spezzato affondando, questo qui invece è intero.
Il mare è calmo, subito facciamo le passate ortogonali per posizionarlo esattamente, e prepariamo l’immersione. PLUTO PALLA scende e capita sulla prua della nave. E’ un punto favorevole per il riconoscimento. Con la consueta prudenza PLUTO si avvicina al tagliamare sinistro, segue il bordo fino a vedere un passacavo di forma particolare e poi giungere al dritto di prua che è proprio sullo stile Titanic che usava all’epoca delle costruzioni in lamiere chiodate.

Dirigo il PLUTO per aggirare la prua e a vedere la fiancata destra.
Siamo quasi sul fondo o su un rigonfiamento del fondo quando vediamo la cubia e l’ancora.
Incredibile! La prua è sprofondata nel fango fino all’altezza dell’ancora, il che vuol dire ben una decina di metri. L’ancora però è strana sembra un grosso grappino a quattro marre, tre sono ben visibili, diversa dall’ancora Hall delle fotografie d’epoca della nave che abbiamo.
Risalgo alla falchetta e navigo verso poppa.
Di nuovo il passacavo poi il bordo scende con una curva per dar luogo ad un parapetto a battagliola. E la battagliola ha 5 tubi correnti come nella foto.
Scendo poco sotto e intravedo degli oblò… ma sì sono della fila sotto il ponte di prua proprio come nella foto. Due degli oblò sono più ravvicinati degli altri ma la foto della nave non è molto chiara per un confronto.
In coperta vediamo anche l’estremità di un bigo, un picco di carico, una manica a vento spezzata e coricata, vediamo l’argano delle ancore e, interessante, i rottami del telaio del parasole di prua ben illustrato nella foto.
Ancora un giretto prudente poi risalgo: credo di avere elementi sufficienti all’identificazione inequivocabile.

Difatti l’amico Ugo, da Trieste dove fu costruita la nave, ha scovato fra altre una bella fotografia dove si vede proprio la zona visitata sott’acqua. La coppia di oblò vicini c’è e anche i passacavi sono proprio loro: abbiamo trovato il Francesco CRISPI.
Il sito del relitto è in acque della Corsica e mi preoccupo subito di mandare un messaggio ufficiale di scoperta a Franca C.
Il CRISPI è un relitto abbastanza importante, non certo come il ROMA, tuttavia tale da richiedere una gestione oculata.
Forse in Italia può esserci un interesse mediatico, è meglio trattenere le foto per ora. Oltre novecento uomini perirono nell’affondamento di cui quasi seicento Granatieri di Sardegna.
Male interpretando il nome di questo corpo militare specialistico, cerco un giornalista sardo per sentire se c’è interesse. Anche se la Sardegna non c’entra con i Granatieri egli mi conferma che un articolo sarebbe bene accetto.
Intanto mando anche un messaggio all’Associazione dei Granatieri: memore dell’emozione suscitata nei parenti dei caduti e superstiti del ROMA, immagino che la notizia potrebbe interessare. Invece non ottengo alcuna risposta, evidentemente i soldati non sono i marinai ed il loro ricordo rimane solo privato.

Il marinaio sbarca e io e Gabriella abbiamo un appuntamento alla Capraia con la Dottoressa Pamela Gambogi responsabile dell’archeologia marina della Toscana, andiamo sul relitto romano delle anfore rodie ad effettuare un ricupero.

Ho dimenticato un particolare importante: al rientro dopo il CRISPI dirigiamo sulla Capraia attraversando di sbieco aree già esplorate con il sonar e ad un certo punto dove non doveva esserci nulla compare una eco.
Il punto cade nella piccola sovrapposizione di due passaggi precedenti, uno verso Nord e uno verso Sud. Il sonar di ricerca della barca vede molto bene oggetti di profilo, con una certa inclinazione, i bersagli che si trovano proprio sotto la barca sono invece molto meno visibili.
Di questo non mi ero accorto. Bisognerà dunque ripassare alcune zone dove può esserci il dubbio di non avere visto. Una ulteriore dimostrazione che dalla pratica nascono nuove regole per eseguire correttamente la “rasatura del prato” cioè saper disporre i passaggi del sonar per non lasciare alcun luogo inesplorato.

Da Portoferraio anche Gabriella mi lascia per andare a Trieste dai suoi.
L’anticiclone continua a dominare. Mari calmi, poco vento, gran caldo.
Sono solo a bordo ma non importa, vado subito ad esplorare con il sonar le sovrapposizioni dubbie. Trascorro così la giornata finché sul tracciato compare una macchia scura che prende la forma di un sigaro. Ed è alcune miglia a sud-ovest del punto presunto, in posizione del tutto compatibile con i documenti. Mi prende un’emozione difficile da descrivere. Dopo due anni di tentativi falliti e nel pieno dell’impressione di scoramento e del mistero inesplicabile, di chi non sa più dove sbattere la testa, ora è come se vedessi scritto saracen sulla macchiolina a sigaro. Potrebbe trattarsi di un altro degli innumerevoli relitti già trovati, certo, ma sento che la soluzione del mistero è là. E’ tardi e rientro a Capraia, ma il tempo sarà ancora favorevole domani fino a mezzogiorno.

Riparto alle cinque del mattino, un’ora dopo sono sul posto con PLUTO PALLA pronto a scendere. Sono solo a bordo e me la cavo, l’unico problema da solo potrebbe essere l’obbligo di far fronte ad imprevisti, ma tutto fila liscio.
PLUTO è arrivato a fondo trascinato dal solito sasso a 420 metri di profondità. Si guarda intorno con il suo sonarino e rileva subito una sagoma a solo 20 m di distanza, i rilievi e le discese sono sempre abbastanza precisi, mi avvicino e dal buio vedo prima delle macchie bianche illuminate dal faro poi appare una struttura di prua, non di nave ma di sommergibile, infatti è un po’ coricato sulla destra e la prua a sinistra mostra tre tubi di lancio dei siluri: finalmente eccolo qua, è lui, il SARACEN!

Dalla prua vedo il piccolo ponte di coperta libero da pericoli a lo seguo. Vedo i timoni orizzontali, poi un gavone senza copertura con l’argano delle ancore ed il portello per l’imbarco dei siluri.
Poco più avanti appare la canna del cannone da 100mm, avvolta in una rete e con grossi cespugli di corallo bianco che nascondono l’affusto quasi completamente.
Anche la torretta che trovo poco dietro il cannone è quasi nascosta fra il corallo bianco. Salendo sulla torretta vedo due tubi, l’interno è liscio senza ruggine, è bronzo, porto il PLUTO a guardare dentro ed ecco il vero periscopio.

Sono così preso dalle manovre per fare video e scattare fotografie che non mi accorgo che fuori dal DAEDALUS, dalla mia postazione di controllo, il vento è aumentato e si sta portando via la barca, ha superato la capacità del posizionamento dinamico di contrastarlo per tenere la posizione.
Il cavo a fibra ottica che collega il PLUTO alla barca si tende e trascina il veicolo via dal relitto.
Niente paura, la missione termina qui, aziono il verricello automatico che riavvolge il cavo, PLUTO è tirato su alla superficie e in pochi minuti lo ricupero a bordo.
Bene, contentissimo, gli obiettivi della stagione sono raggiunti.

Non è neppure mezzogiorno quando ributto l’ancora alla Capraia. A Gabriella ho già telefonato e anche lei tira un bel respiro di sollievo.
Apro subito il PLUTO per ricuperare dalla telecamera i video e le foto. Poi mi metto a scrivere e-mail. Prima mando la denuncia di ritrovamento a Pamela Gambogi. Si, perché il sito è più vicino alla Capraia che non alla Corsica, allora in acque italiane. A Franca C mando per correttezza la notizia del ritrovamento, senza dettagliare la posizione in quanto il relitto non è soggetto alla giurisdizione francese. Poco dopo ricevo i complimenti suoi e di Michel L’H per la mia “ostinazione”.

Poi Terry. A lui la notizia, la posizione approssimativa, le fotografie più significative e una descrizione del relitto che qualifico “beautifully adorned by white corals”, frase felice (non mi capita spesso) che il giorno dopo trovo citata da tutti i giornali inglesi.
Il Royal Navy Submarine Museum di Gosport ha esaminato le foto e ha immediatamente confermato che si tratta dell’HMS SARACEN. Là da loro sono tutti molto sensibili ai motivi di orgoglio ed una unità con un passato aggressivo e fortunato fa notizia.