Ritrovamento

CACCIATORPEDINIERE VINCENZO GIOBERTI
CACCIATORPEDINIERE GIOBERTI

Il 18 dicembre 2015 il catamarano DAEDALUS individuava con i propri strumenti un relitto che ispezionato dal PLUTO PALLA è risultato essere il troncone di prua del cacciatorpediniere Vincenzo GIOBERTI, affondato nel 1943 dal sommergibile inglese HMS SIMOOM.
Il relitto giace coricato sul fianco destro alla profondità di 595 metri a sud di Punta Mesco.


MISSIONE MARINA "DUAL USE
"

Transylvania, Corazzata Roma, Crispi e Saracen… e poi? Qual’è il prossimo obiettivo?

Questa è sempre stata la domanda degli appassionati curiosi dopo ogni mio ritrovamento, domanda alla quale non ho mai saputo cosa rispondere.  Ci si aspetta sempre qualcosa di più importante del risultato ottenuto al momento, ma dopo la Corazzata ROMA non esistono altri relitti più importanti, almeno alla mia portata.

Qui in Liguria vicino alla mia base di La Spezia, avevo avuto indicazione dal maresciallo Lenzini dei Carabinieri che qualcuno stava cercando il sommergibile inglese HMS Usurper.  Allora andai a vedere su internet e trovai che la zona di affondamento ipotizzata era poco fuori del promontorio di Portofino, una delle aree che spesso frequento per diporto con il DAEDALUS. Mi informai sulla storia degli avvenimenti, presi contatto con un gruppo di storici del blog Aidmen, in particolare Platon che dal Canada è ferratissimo in ricerche d’archivio ed è una miniera di notizie.
Risultava che l’Usurper fosse stato preso in caccia da una corvetta tedesca che reclamava l’affondamento ma senza prove inoppugnabili. L’Usurper avrebbe anche potuto perdersi sulle mine vicino all’isola Capraia.  Scettico, feci un paio di passate sonar nell’area, senza convinzione e senza risultati.

Venni però così a sapere che esisteva anche il relitto del cacciatorpediniere Vincenzo GIOBERTI. Da una fonte internet del 2012 un gruppo di subacquei trovava un relitto di nave a cui attribuivano in un primo momento l’identità del Gioberti ma subito dopo riconosciuta come mercantile.  Poi Ugo Gerini mi soffiava all’orecchio il nome del Gioberti come possibile obiettivo.

Mi informai sulla sua storia, qui così bene raccontata da Ugo, che dava una posizione stimata al largo di punta del Mesco, ancora più vicina alla mia base. Questo relitto mi attirò per due motivi: primo non potevo lasciare sconosciuto all’angolo di casa un relitto abbastanza importante per le vicende belliche vissute. Secondo perché il suo ritrovamento mi avrebbe permesso di avere una palestra dove andare facilmente a fare esercizi con i miei apparecchi.

Dunque: all’opera!

Con il solito sonar del DAEDALUS iniziai passate allargandomi a spirale dal punto ufficiale. Una prima missione a fine ottobre terminò senza risultati salvo un tenue contatto sospetto.
In ditta stavano terminando il primo MULTIPLUTO e colsi la necessità di effettuare un collaudo in mare per uscire a identificare quel contatto.  Solita procedura, DAEDALUS in posizionamento dinamico sul punto, lancio del veicolo zavorrato con il solito sasso, una volta raggiunto il fondo a 600 metri ricerca del contatto con il sonar del veicolo. Il Multipluto si stava comportando benino, il contatto apparve a 50 metri di distanza con una intensità ed una forma che escludevano il relitto, però già che si era lì valeva la pena di avvicinarsi e vedere con la telecamera: risultato?  Una rete a strascico abbandonata con tutto il cavo d’acciaio posato sul fondo in strette volute.  Buon collaudo per Multipluto ma niente Gioberti.

A dicembre si presentò un periodo di meteo favorevole e uscii nuovamente per estendere le ricerche con il sonar con l’aiuto di Davide, il mio nuovo marinaio in corso di istruzione e formazione,. Bastarono un paio d’ore per rilevare due echi significativi, quello più evidente era sicuramente un relitto, l’altro poteva essere compatibile col il troncone di poppa del Gioberti.
Si andò a dormire nella baietta di Levanto per essere pronti all’immersione del PLUTO PALLA al mattino dopo. Bisognava uscire presto perché il tempo era previsto in peggioramento. Dunque il 18 dicembre mattina solita routine, il Palla sul fondo si avvicina con prudenza e inizia a vedere lo scafo coricato su di un fianco, il destro, trovo l’ancora, percorro la falchetta verso poppa arrivando a scoprire degli oblò sulla fiancata dello scafo e poi ad intravvedere la plancia di comando con sovrapposti i telemetri. Senza alcun dubbio si tratta del relitto del Gioberti, però sopra la plancia c’è una lamiera non presente nelle fotografie d’epoca, sembra un paraschegge aggiunto.
Il vento rinforza, l’elica del posizionamento dinamico sta dando il suo massimo e non riesce più a tenere il Daedalus fermo, il vento se lo sta portando via. Allora sgancio il pietrone di zavorra avvio il rullo motorizzato a riavvolgere ed il cavo filoguida tira a bordo il Pluto Palla.
Abbiamo scoperto il GIOBERTI ed inizia la solita trafila: prima ad essere informata la mia Gabriella che mi incoraggia a distanza sempre emozionata, poi le comunicazioni formali alla Soprintendenza dei Beni Culturali e avviso alla Marina cui appartiene il relitto, infine Ugo con la raccomandazione di starsene buono per un momento, altrimenti sarebbe capace di uscire con un nuovo libro il giorno dopo… e l’amico Corrado giornalista con la stessa raccomandazione ad attendere nulla osta delle Istituzioni.

Passa il tempo ma non giungono reazioni.

Intanto sono chiamato dalla Marina per aiutare ad un importante intervento di ricupero a Taranto.  Il PLUTO PALLA scende a mille metri di profondità, trova ed aggancia l’importante oggetto al quale la Marina tiene molto e lo porta fino in superficie nonostante una massa di mezza tonnellata.

Si crea un’atmosfera di soddisfazione negli Alti Comandi che mi propongono una missione “dual use” sul Gioberti ovvero di impiego di nave militare per scopi civili.
In ditta abbiamo in costruzione il secondo esemplare di Multipluto e suggerisco di attenderne il completamento per poterlo usare in questa missione.

Si arriva al 6 aprile 2016.
Imbarco su nave GAETA, un cacciamine ammodernato, tutto il mio equipaggiamento del Pluto Palla e del Multipluto. Installo e verifico che tutto funzioni correttamente.
Il giorno seguente alle 7 del mattino sono già a bordo.
Atmosfera effervescente. Sulla nave tanti ospiti. Molti sono della Marina: Ufficio Storico, Istituto Idrografico, Ufficio Comunicazione, ecc. Poi i civili, giornalisti, Soprintendenza, una biologa dell’università di Genova (il relitto è decorato dal corallo bianco), l’equipaggio che segue gli ordini diramati dall’altoparlante con i marinai che corrono e si preparano a mollare i cavi e a muovere.
Giornata di tiepido sole primaverile. Già la settimana scorsa abbiamo dovuto rinunciare all’imbarco per tempo cattivo ed il mare grosso, oggi il vento furioso dei giorni scorsi si è calmato, sembra un momento ideale per il nostro lavoro.
Una volta che la nave si è stabilizzata con la poppa sulla verticale del relitto inizio col far mettere a mare il Palla. Non ho portato nessuno dei miei perché il cacciamine è già abituato a lavorare con le altre versioni militari del PLUTO che sono normale dotazione e che oggi riposano negli hangar. Hanno piloti esperti e marinai di supporto addestrati, perciò niente paura, i piccoli Palla e Multipluto sono sicuri nelle loro mani. Io dirigo le operazioni e faccio il pilota di uno dei due.
L’idea era di far scendere tutti e due i veicoli insieme in modo che le potenti luci del Multipluto illuminassero il relitto per consentire al Pluto Palla di eseguire eccellenti riprese.
Purtroppo i piani dell’immersione sono stati sconvolti da una forte corrente e da esperimenti non riusciti.
Ecco che chiarisco:
per mandare giù due veicoli insieme si dovrebbe usare il metodo PLUTO GABBIA che prevede un collegamento meccanico tra i due veicoli che scendono con un solo cavo di filoguida, proprio come se fossero un solo veicolo, poi, una volta sul fondo, il Palla si stacca rimanendo collegato al Multi con un guinzaglio e il sistema si sdoppia in due veicoli indipendenti comandati dalla nave da due piloti. Però questo sistema è ancora in costruzione, non ho potuto portarlo.
Qui avevo pensato di agganciare il Palla con il manipolatore del Multi ma in acqua il diverso movimento dei due, indotto dal movimento nave da cui pendono, ha provocato torsioni, capovolgimenti, incastri, per cui ho dovuto abbandonare la procedura.
Decido allora di far scendere Palla per poi seguire con Multi seguendo visivamente il cavo del Palla.
Palla raggiunge il fondo trascinato dalla corrente lontano dal relitto che si trova sotto la nave.  Provo ad orientare il Palla per guardarsi intorno con il suo sonarino ma  non vedo nulla neppure alla massima portata di 120m.
La filoguida scende dalla nave in acqua molto inclinata, allora supponendo che il veicolo sia stato trascinato molto più lontano lo metto in navigazione automatica controcorrente.
Dopo dieci minuti l’eco del relitto entra nella portata del sonar e seguendo questa indicazione proseguo la navigazione sul fondo fino a vedere il relitto.
La corrente è parallela alla costa ed è creata da una vasta circolazione dei venti che in questi giorni sono stati molto forti, da sud est scirocco lungo la costa italiana e da nord ovest maestrale dal golfo del Leone.
Il relitto giace con la prua rivolta a nord est ed è coricato sul fianco destro, perciò Palla è arrivato come l’altra volta a vedere lo scafo emergere dal fango, mentre le sovrastrutture sono orientate a sud est, cioè contro corrente e per raggiungerle occorre scavalcare la falchetta e scendere dall’altro lato con il rischio di vedersi trascinati dalla corrente contro i rottami, come è effettivamente accaduto ispezionando la plancia, con il Palla incastrato per alcuni (lunghissimi affannosi) minuti.
Prima avevo provato a far scendere il Multi come immaginato seguendo con la telecamera il cavo dell’altro ma essendo questo disposto non verticale ma su di una ampia ansa, non è stato possibile.
Per queste ragioni non ho ottenuto buone foto questa volta e non ho visto nuovi particolari del relitto come ad esempio i cannoni binati di prua rispetto al giorno della scoperta.
Questo Multi era la prima volta che scendeva in mare e ha rivelato anche qualche difetto. Ora Ruggeri mi sta preparando il sistema Gabbia che vede i due veicoli meccanicamente collegati per scendere insieme con un solo cavo. Così prevedo a maggio una nuova missione per sperimentare. Il Multi illumina con grande potenza e il Palla ispeziona e riprende in sicurezza con la visione di ampie aree del relitto.

Nonostante questi inconvenienti ho realizzato le riprese sufficienti affinché la Marina potesse certificare il riconoscimento del Gioberti.

Ho poi avuto notizia che l’amico Corrado Ricci del giornale La Nazione aveva scovato a Viareggio due anziani superstiti della nave, Vittorio Dini di 94 anni ex radiotelegrafista del Gioberti e Mario Bonetti di 96 amici letteralmente “per la pelle”. Con una brillante idea Corrado ha organizzato una trasmissione in diretta via iphone al loro computer a casa di Vittorio permettendo loro, emozionatissimi, di vedere in tempo reale quanto rimane della loro nave.

Ecco poi che con l’opera dell’Ufficio Comunicazione della Marina, la notizia raggiunge numerosi mezzi di diffusione tra radio, TV e giornali locali, lasciando me un po’ stanco (non sono più un giovanotto) ma soddisfatto e gratificato.